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Dopo anni di dibattiti, dopo le assemblee di "Abbiamo un sogno" e i tentativi delle liste civiche, anche il progetto di "Cambiare si Può" è miseramente fallito.
La motivazione profonda è che non si riescono a mettere insieme le anime della protesta e della lotta italiana.
Faccio un esempio: quando si siedono ad un tavolo i NoTav, le associazioni ambientaliste contro l'ILVA e gli operai dell'ILVA stessa non riescono a capirsi perché non sanno definire  che cosa hanno in comune.
I primi lottano contro lo stato, gli ambientalisti di Taranto lottano contro una grande impresa perché non inquini, gli operai dell'ILVA lottano contro la stessa grande impresa perché non chiuda e, se possibile, aumenti i loro stipendi.
Non hanno gli stessi antagonismi, non hanno gli stessi obiettivi, l'unica cosa che gli accomuna è la sensazione di stare tutti lottando contro qualcosa, indefinibile ed indefinito, ma univoco.
Questa sensazione però non basta loro a coalizzarsi politicamente e, a parte qualche affermazione di solidarietà, ciascuno rimane nel suo ambito ristretto di lotta.
Così sono falliti tutti i progetti per costituire qualcosa che, travalicando i partiti consueti, potesse rappresentare tutte le lotte insieme (contro discariche, mafie, inquinamenti, grandi opere...).
Questo perché a tutti sfugge l'elemento comune che è la lotta tra i singoli individui (che chiamerò cittadini per semplificare) e le organizzazioni superindividuali per la definizione delle scelte che per l'interesse delle organizzazioni condizionano la vita dei cittadini stessi.
Ovvero, se ciascun cittadino ha una sua volontà questa si scontra contro volontà diverse, sia degli altri cittadini che, soprattutto, delle organizzazioni.
Normalmente questi scontri portano ad un equilibrio, specie tra gli individui, ma di fronte alle organizzazioni i cittadini sono quelli che alla fine cedono e accettano la volontà altrui.
Questo chiaro meccanismo è stato confuso dal fatto che subito prima della rivoluzione francese si pensò che non fossero le organizzazioni il problema ma il fatto che fossero gestite da autocrati, i re e i loro rappresentanti, e che tutto potesse essere risolto con il cambiamento del vertice. Un capo eletto democraticamente avrebbe fatto gli interessi dei cittadini. Questo invece, portò e porta a forme dittaturiali dello stato (con casi eclatanti come Robespierre e Napoleone).
Il caso del TAV, per non andare troppo indietro nella storia, è esemplare.
Lo stato ha deciso e i cittadini della Val Susa devono cedere la propria volontà contraria.
In seguito, visto il fallimento democratico, si formarono altre forme organizzative (il comunismo russo, il fascismo italiano, il populismo), dove si sostituiva solo il metodo di definizione di chi doveva comandare: visto che il popolo era incapace di scegliere per il meglio, qualcuno si sostituiva nella scelta per il bene dello stato, quindi dell'organizzazione. Se con la democrazia, i cittadini avevano qualche piccolo spazio di libertà d'azione, ovviamente con tutti gli altri metodi, non potevano che soccombere (con i risultati negativi che tutti conoscono).
A comoplicare ulteriormente la situazione, negli anni si sono formate delle organizzazioni economiche che funzionano come dei piccoli stati e intrecciano i loro interessi con quelli politici e statali. Le aziende multinazionali, le banche e le assicurazioni definiscono troppo spesso insieme agli stati come devono vivere i cittadini. Le leggi sull'inquinamento e l'alimentazione, il protezionismo sulle produzioni, le tasse per finanziare le spese necessarie alla loro sopravvivenza... tutto viene definito per non ridurre il potere di queste organizzazioni economiche.
A questo punto abbiamo definito una schema semplice: da una parte ci sono i cittadini, individui con una loro volontà di vivere e vivere bene ma secondo le proprie convinzioni, dall'altro ci sono delle organizzazioni che vogliono ridurre quella volontà, sia per un discutibile concetto di bene comune, sia per riprodurre e mantenere l'organizzazione stessa.
Questi cittadini da soli non possono far altro che soccombere ma uniti possono far sì che la loro volontà sia salvaguardata.
Per farlo, è necessario non delegare mai nelle scelte e vigilare e lottare perché le regole siano sempre a difesa dei singoli cittadini e non delle organizzazioni.
L'unione delle lotte quindi non deve avvenire sulla gestione delle singole lotte, come spingono a fare i partiti, ma su concetti superiori a cappello delle lotte stesse.
Per vincere contro il TAV serve a poco lottare contro il TAV ma è necessario lottare perché la legge stabilisca che le grandi opere vengano decise secondo la volontà dei cittadini, per esempio, tramite referendum.
Per vincere contro l'inquinamento dell'ILVA è necessario che la legge dia il massimo del potere a chi stia subendo un inquinamento, con strumenti veloci di blocco delle produzioni ed imposizione delle salvaguardie ai cittadini e all'ambiente.
Per vincere contro lo strapotere delle aziende (come la FIAT e l'ILVA) è necessario che le leggi a difesa dei diritti dei lavoratori, chiunque essi siano, siano effettive e applicate.
E perché queste leggi siano adottate è necessario che tutti si uniscano con l'obiettivo di creare un blocco di cittadini a difesa del cittadino contro lo strapotere delle organizzazioni.

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